Nata a Lugano col nome di Amelia Cottini, fu giornalista ed autrice di romanzi d’appendice.
Nel 1898 entrò, tra le prime giornaliste donna, nella redazione del Secolo XIX, per cui scrisse molti romanzi d’appendice di grande successo, poi raccolti dall’editore Treves.
Di fede interventista, nel 1915 fu corrispondente di guerra, tra le poche a raccontare il conflitto dal fronte, e con la sua propaganda patriottica coinvolse numerose donne.
Su sollecitazione del direttore del Secolo, Mario Perrone, fu reporter a Berlino, da cui, grazie alla sua conoscenza del tedesco, mandava dispacci quotidiani, molto vicini alle condizioni della gente.
In lei si fondevano l’esaltazione della milizia, della “bella guerra” e dei futuristi.
Nel ‘44, a seguito di una pubblicazione in cui definiva il fascismo “un obbrobrio”, subì una condanna a 15 anni di reclusione; perciò, lasciò Genova e si unì ai partigiani, con falsa identità.
Riprese poi a scrivere per il Corriere e per il Secolo e condannò nel ‘46 i massacri di civili e gli stupri (come raccontato nel film “La ciociara”), compiuti dalle truppe marocchine in Ciociaria, paragonandoli a quelli dei nazisti e coinvolgendo nella denuncia le donne parlamentari.
Morì poco dopo, compianta da tutti i giornalisti, che sul Lavoro scrissero di lei: ”...come la Serao, era imbevuta fino al midollo di questo agro ed affascinante odor d’inchiostro tipografico, e, nella sua sostanziale modestia, fortissima rivendicatrice dei diritti dell’intelligenza femminile”.
Tutti i suoi scritti sono conservati nella Fondazione Ansaldo.